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Il nuovo modo di vivere la casa ci ha portati a ricercare una maggiore interazione o, al contrario, un isolamento consapevole?

Questo l’interessante punto di vista di Carlotta Berta, @unacarlotta per il mondo di Instagram, ingegnere edile dedita al mondo del design, con cui abbiamo avuto il piacere di chiacchierare e approfondire l’argomento durante la nostra intervista.

Nel vorticoso tourbillon della vita di tutti i giorni, in equilibrio tra lavoro, casa e affetti, spesso si sente il bisogno di ritagliarsi del tempo da poter condividere. La convivenza forzata e le nuove abitudini che sono entrate a far parte delle vite di molti, hanno ribaltato questo bisogno portandoci, invece, alla ricerca di momenti da trascorrere individualmente.


Nella nostra rubrica HOMING, case che cambiano abbiamo intervistato Carlotta Berta, ingegnere edile con l’apostrofo, come si definisce lei stessa, che nel 2013 ha deciso di seguire la propria passione per il Design.


Le abbiamo chiesto il suo punto di vista sui nuovi bisogni delle persone all’interno della casa, come è cambiato il suo lavoro in questi mesi e il rapporto delle persone con il design. È stato molto interessante osservare la tematica da una nuova prospettiva, scoprendo necessità diverse dai trend a cui siamo normalmente abituati.


Bisogno di Solitudine?

Aloneliness”, ovvero una “mancata solitudine”, quella definita da Robert Coplan, psicologo della Carleton University in Canada, è la possibile reazione a catena che la pandemia ha portato con sé, più che mai in circostanze di vita familiare dove la quotidiana condivisione degli spazi ha rappresentato una costante imprescindibile.


Così come il senso di connessione verso l’altro e di interazioni sociali, proprio di ogni essere umano, anche il valore della solitudine rappresenta una condizione indispensabile per vivere una vita piena e stimolante. In quest’ottica, la progettazione di una casa che rispetti l’individualità di ognuno, soprattutto all’interno di contesti familiari numerosi, ricopre un ruolo cruciale.


Progettare casa si trasforma in una nuova necessità: non più ambienti totalmente open ma spazi intimi e ben suddivisi che regalino alla persona una pausa dal mondo e favoriscano concentrazione, introspezione e esplorazione della propria creatività.


Proprio come nelle case d’artista, la progettazione di uno studiolo o di un angolo dedicato alla lettura e all’ispirazione è sempre più richiesto, alla stregua degli altri ambienti della casa. Basti pensare a Stephen King chiuso nel suo studio al quale nessuno della famiglia aveva accesso o Agatha Christie a lavoro davanti al suo scrittoio.


Carlotta, quali sono state secondo te, le abitudini più “difficili” da cambiare e riadattare all’interno delle nostre case?

Sicuramente lo smart working ha cambiato l’approccio alla visione della casa, soprattutto per chi non era abituato a lavorare tra le mura domestiche e si è trovato a cambiare la sua condizione andando incontro a una routine.


Un’altra abitudine che secondo me è stata complessa da cambiare per le famiglie numerose, piuttosto che per le coppie che vivono in case non molto grandi, è stato l’obbligo di ritrovarsi insieme per molte ore del giorno e senza avere spazi di solitudine. Prima, ad esempio, anche semplicemente il tragitto per andare a lavoro poteva rappresentare un momento per stare da soli con sé stessi. Quando ci si trova a stare insieme tutto il giorno in casa a volte si sente la mancanza della solitudine, dell’isolamento.


Come sta cambiando il design all’interno delle case e cosa ricercano le persone per soddisfare i loro bisogni?

Nel caso di una famiglia, le persone ricercano spazi di solitudine all’interno della propria casa, spazi singolari, individuali. Ad esempio, all’interno del salotto, che è uno spazio molto grande e prettamente conviviale, si ricerca una zona progettata per una persona sola, per potersi isolare anche solo mentalmente dal resto della famiglia. Altro bisogno è la comodità; se prima l’angolo scrivania poteva essere curato ma poco funzionale, adesso si ricerca il comfort anche negli spazi di lavoro, che vanno inseriti effettivamente all’interno della casa.


Come sta cambiando secondo te il rapporto delle persone con il design?


Le persone si stanno accorgendo di quanto la casa e il benessere in casa possano essere fondamentali; in particolar modo se ne sono accorte le persone che non avevano una casa ben progettata e che sono state costrette al lockdown. È molto forte, secondo me, il cambio di approccio nei confronti del design di interni, della casa vista come un ambiente disegnato sulle abitudini dei suoi abitanti, all’interno del quale è fondamentale sentirsi bene. C’è molta attenzione alla sostenibilità, alla qualità dell’aria, a quanto la luce possa essere importante o ai tessili. Se parliamo di design del prodotto invece, c’è sicuramente una nuova attenzione al comfort della camera da letto, agli ambienti di relax o all’ergonomia delle sedie.


Come possono aiutarci gli ambienti domestici e il design a socializzare a distanza e a tenere alto il desiderio di sopravvivere a situazioni difficili?


Sicuramente si può lavorare sulla domotica e sulla suddivisione di alcuni spazi della casa che coinvolgono anche l’esterno con degli impianti adeguati, questa è la mia risposta istituzionale. La risposta reale è che spero non ce ne sia più bisogno e che non si debba procedere con la ricerca di queste soluzioni.


Il tuo lavoro e la tua attività sono cambiati in questi ultimi mesi e in che modo?

C’è stata la possibilità di superare dei limiti: il mio lavoro era abbastanza flessibile e in movimento già prima della pandemia. È servito sicuramente a sdoganare tutta una serie di riunioni e appuntamenti online, quindi se prima ogni step di progettazione richiedeva un incontro con i clienti e una presenza costante, la pandemia ha spostato i limiti e i confini. Con l’avvento delle riunioni online e di una maggiore digitalizzazione, è subentrata anche una maggiore fluidità, elemento fondamentale in un lavoro complesso come la progettazione che, soprattutto nella fase iniziale, richiede un confronto costante con clienti e fornitori.


Ho riscontrato che nella progettazione della casa, se prima si tendeva molto agli open space, richiesti soprattutto dai più giovani, ora c’è un ritorno ad una maggiore suddivisione degli spazi.


Un altro punto che ho riscontrato è una grandissima attenzione per il bagno, come stanza del benessere, una ricerca di spazi individuali soprattutto all’interno di case con numerosi abitanti e poi, sicuramente, una fortissima attenzione all’esterno. La maggior parte delle mie case sono case con terrazzo o con giardino in cui mi viene richiesta anche una progettazione dell’esterno, cosa che prima non succedeva. C’è, quindi, una nuova tendenza a ricercare maggiori spazi esterni per riconnettersi con la natura, così come la ricerca del verde in casa e anche del prendersi cura delle piante, come se fosse un piccolo rituale che entra a far parte della nostra routine.


Oltre a progettare case e interni, collabori con diverse aziende italiane di arredamento. In un momento di crisi e riadattamento, quali sono secondo te i valori e le caratteristiche su cui le aziende dovrebbero puntare?

Io credo che si debba andare a fare una nuova ricerca verso l’esperienza, la ritualità. Il prodotto non è più soltanto un elemento estetico da mostrare, ma diventa un elemento che ci permette di vivere piccole esperienze quotidiane. Inoltre, è sicuramente necessaria una grande attenzione alla natura: questa pandemia ha portato una maggiore consapevolezza e attenzione a quello che è il futuro del pianeta e, finalmente, stiamo diventando tutti clienti più consapevoli.